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A tu per tu

A tu per tu con i soci ASSIF

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“A tu per tu con il socio ASSIF” 

Dietro ad ogni socio ASSIF, c’è un fundraiser con tante storie da raccontare. L’intervista che vi proponiamo oggi è quella di Marta Farrugia, referente ASSIF Liguria e fundraiser “a sua insaputa”!

1. La professione di fundraiser, una scelta o un caso?

La mia storia di fundraiser nasce senza ombra di dubbio “a mia insaputa”. Mi sono tuffata in questo mare per rispondere all’urgenza della mia organizzazione, quella nella quale sono cresciuta come volontaria, servizio civile, e poi membro del direttivo. Non mi vergogno a dire che durante i primi mesi di lavoro, quando qualcuno mi diceva “ah, quindi ti occupi di fundraising”, nella mia testa nasceva il punto interrogativo “fund… che?”. Ho risposto ad una chiamata, ma oggi posso dire senz’altro che questa è la mia strada, il vestito cucito su misura per me.

2. Quali sono secondo te le skills più richieste nella professione di fundraiser?

Multitasking è la mia parola d’ordine, ma certamente sono condizionata dalla realtà nella quale ho cominciato il mio percorso: dovevo passare dagli eventi, ai grandi donatori, dal direct mailing, al corporate senza nemmeno ripassare dal “Via”. Crescendo, ho cominciato anche ad apprezzare il concetto di elasticità: devo accettare che non tutto può essere perfetto come vorrei, che il mio lavoro si deve modellare attorno alla realtà nella quale sto operando, che è fatta di tante anime diverse e differenti visioni.

3. Quando sei entrato in contatto con Assif per la prima volta e cosa vuol dire per te far parte dell’Associazione Italiana Fundraiser?

Lavoravo da sei mesi e, dopo un periodo di attività volta a recuperare fondi “maledetti e subito” per scongiurare la chiusura della struttura, nel direttivo è nata l’esigenza di affinare le tecniche di fundraising e ampliare gli strumenti a nostra disposizione: una nostra volontaria aveva partecipato ad un corso di formazione Assif aperto a tutti e così mi ha segnalato l’associazione. Il direttivo non ci ha pensato due volte e ha finanziato la mia tessera: un bellissimo inizio!

4. Che consigli daresti ad un giovane che vorrebbe intraprendere la carriera del fundraising?

Partirei dalla passione nei confronti della causa: se quella c’è, allora il secondo passo è la formazione e l’apertura nei confronti dei colleghi. La bellezza della nostra community è proprio la disponibilità a condividere il sapere e le conoscenze, così come a risolvere un problema di un collega, anche se magari lavora nell’organizzazione “competitor”.

5. Dove porteresti a cena un major donor?

Non ho dubbi: lo porterei a pranzo dai bambini del nido che sosteniamo. Basta guardarli per capire quanto l’organizzazione, attraverso i fondi raccolti, influisce concretamente nelle loro vite e segna un punto di svolta per il loro futuro. Paradossalmente, io potrei non esserci … ma non mi toglierei mai la soddisfazione di osservare la meraviglia nello sguardo del donatore!

6. A causa dell’emergenza Coronavirus, abbiamo affrontato nuove sfide e grandi cambiamenti dal punto di vista professionale. Quali difficoltà hai riscontrato lavorando con le organizzazione del non profit e come hai affrontato questo periodo?

Da un lato, mi sono dovuta “scontrare” con la difficoltà che ha una delle organizzazioni che seguo nel chiedere. Ha prevalso il pudore nei confronti della situazione drammatica che stava vivendo il Paese in primavera, rispetto alla loro esigenza economica. Dall’altro, ho vissuto un momento molto intenso di formazione “ossessivo-compulsiva” dalla quale ho tratto moltissimi insegnamenti. Ho scelto di guardare il lato positivo di questa evidente tragedia sociale: è l’unica via per uscirne migliorati.

7. Dì una cosa nel dialetto della tua regione a tutti i fundraiser?

E sul finale “scopro le carte”: io sono figlia di siculi immigrati… perciò: “Ognunu campa cu l’arti so”. A voi la traduzione!

Marta Farrugia 

 

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