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A tu per tu con i soci ASSIF

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“A tu per tu con il socio ASSIF” 

Dietro ad ogni socio ASSIF, c’è un fundraiser con tante storie da raccontare e questa è la testimonianza di Catia Mastrovito, Responsabile Fundraising presso Comunità Solidali nel Mondo.

1. La professione di fundraiser, una scelta o un caso?

Una scelta. Dopo anni di lavoro nel mondo profit, durante un master sulla cooperazione internazionale, ho scoperto il fundraising e ho iniziato a lavorare in questo settore perché, ancora oggi,  apprezzo le dinamiche e le modalità di lavoro, che creano sviluppo e crescita per tutto il mondo del non profit.

2. Quali sono secondo te le skills più richieste nella professione di fundraiser?

Su tutte direi, la capacità di coinvolgere l’altro. Poi in base alle dimensioni della realtà per cui si lavora, aggiungerei anche: essere innovatori, creativi e sapersi muovere (chiedendo, informandosi, curiosando) per gestire al meglio le risorse a disposizione.

3. Quando sei entrato in contatto con Assif per la prima volta e cosa vuol dire per te far parte dell’Associazione Italiana Fundraiser?

Nel 2017. Far parte di ASSIF, per me significa far parte di una community di persone con cui, oltre confrontarmi su temi legati al fundraising, so di condividere valori, quelli umani intendo, che ho ritrovato maggiormente nel mondo del non profit

4. Che consigli daresti ad un giovane che vorrebbe intraprendere la carriera del fundraising?

Di curare certamente l’aspetto formativo e, soprattutto, di capire quale sia la spinta motivazionale che porta ad intraprendere la professione del fundraiser. Perché senza questa spinta, si rischia facilmente di perdersi.

5. Dove porteresti a cena un major donor?

Comunità Solidali nel Mondo è la realtà per cui dedico ormai da qualche anno, la maggior parte del mio tempo. Si occupa di cooperazione internazionale in particolare di bimbi con disabilità a Sud del Mondo. Tre sono i Centri di Riabilitazione che dal 2007 l’associazione ha contribuito a far nascere in Tanzania. Proprio qui, porterei un major donor. Precisamente presso la casa/ostello del Centro di Riabilitazione A.Verna Kila Siku, l’ultimo dei tre centri nato nella città di Dar Es Salaam; una cena preparata da me e dai ragazzi dello SCU che stanno prestando il loro anno di servizio civile presso la sede del Centro.

Sono più che certa della riuscita della cena, dell’ospitalità e dell’intero viaggio

6. A causa dell’emergenza Coronavirus, abbiamo affrontato nuove sfide e grandi cambiamenti dal punto di vista professionale. Quali difficoltà hai riscontrato lavorando con le organizzazione del non profit e come hai affrontato questo periodo?

Mi sono ritrovata a convivere con la difficoltà di parlare e essere convincente riguardo a una richiesta di donazione, per una causa lontana. A questo si aggiungeva la piena consapevolezza di avere limiti di diversa natura, legati ad esempio all’utilizzo di ulteriori strumenti come i mass media, per promuovere la mission, la causa sociale e i progetti. La maggior parte della persone aveva voglia di sostenere cause più vicine e questo non lo si poteva certo biasimare.

Mi sono concentrata allora su:

– coltivare la relazione con i sostenitori che c’erano già, soprattutto al telefono;

– valorizzare il lavoro dell’associazione, rivedendo i processi interni dell’organizzazione e investendo su specifiche competenze.

7. Dì una cosa nel dialetto della tua regione a tutti i fundraiser?

Lo dico nel dialetto della mia città di origine: Mhé, c la mma ffà, fascml

Indovinate qual è?

 

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